Vendita di spazi pubblicitari all’interno del club

Fitness-wellness club, centri sportivi e piscine possono ottenere introiti addizionali dalla vendita di spazi pubblicitari/promozionali all’interno delle proprie strutture. Un’attività più complessa e impegnativa di quanto si possa immaginare, la cui attuazione merita attente valutazioni preventive e scelte ponderate

I fitness-wellness club, così come i centri sportivi e le piscine, possono beneficiare di entrate aggiuntive generate da un’opportunità tanto discussa quanto poco sfruttata in Italia: la raccolta pubblicitaria.

Il nostro mercato, come noto, è estremamente frammentato: conta pochissimi gruppi, e nemmeno tanto grandi, e una miriade di singole strutture gestite nel modo più vario. Probabilmente molti operatori non raggiungono una massa critica tale da giustificare la strutturazione di un’attività organizzata come la vendita di spazi pubblicitari/promozionali. Attività che, ammettiamolo, non appartiene più di tanto alla nostra cultura. Fatto sta che i proventi generati da quella che genericamente possiamo definire “raccolta pubblicitaria” sono ancora marginali rispetto a quelli registrati in altri paese e in altri settori. Gli statunitensi, da sempre, sono abituati a dare un valore alle cose e a venderle. Le loro squadre, in diverse discipline sportive, sono aziende che sfruttano ogni occasione, e ogni spazio, per vendere pubblicità a caro prezzo. E questo vale anche nel settore dei fitness club d’Oltreoceano nel quale, non a caso, si sono affermati marchi forti e personaggi leggendari come Gold’s Gym, Jane Fonda e Arnold Schwarzenegger, scolpiti nella mente di milioni di consumatori.

Premi consegnati a Matrix da Gold’s Gym

In settori che per certi versi sono simili a quello del fitness, anche se più evoluti e complessi come quello della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), esistono indici e parametri di resa e lo spazio viene gestito e venduto di continuo.
Una palestra è concettualmente “uguale” a un supermercato: occupa uno spazio, ha pareti e strutture espositive, un orario di apertura e tanti clienti che la visitano con assiduità.
Lasciando da parte gli aspetti normativi e fiscali, già ampiamente trattati su questa rivista, entriamo maggiormente nel dettaglio di questa interessante opportunità, partendo dall’assunto che lo spazio ha un costo, in termini di capitale impiegato per realizzarlo e farlo funzionare o di affitto. E il solo fatto che costituisce un costo fornisce una buona ragione per imparare a venderlo in modo da accorciare il più possibile i tempi del suo ammortamento.
Nei bilanci della GDO, lo spazio ha un costo reale o figurativo, una resa (fatturati o incassi in rapporto alla superficie occupata) e dei parametri di efficienza che permettono la comparazione tra superfici analoghe e definiscono la sostenibilità economica di un punto vendita. Ed è venduto al pari della merce; i fornitori pagano per posizionare i propri prodotti negli spazi di maggior qualità, che in genere sono:
• il piano terra;
• lo scaffale posto all’altezza degli occhi;
• pall-box;
• stand con promoter;
• espositori da banco;
• avancasse;
• testate delle gondole, soprattutto negli ipermercati;
• corner;
• vetrine (l’8% del fatturato di Rinascente Duomo, ad esempio, un po’ di tempo fa era generato dalla vendita delle vetrine esposte su Corso Vittorio Emanuele).

Alle aziende che riforniscono la GDO interessano gli spazi più visibili perché aumentano le vendite dei propri prodotti e la notorietà del proprio marchio. Per ottenerli, sostengono un costo sotto forma di sconti sulla merce fornita o di contributi versati a fine anno. Non a caso ogni catena della GDO si avvale di acquisitori professionisti che si occupano, oltre che delle trattative per acquistare le merci, di questa attività, che in molti casi rientra nell’MBO (il sistema di incentivazione management by obectives).

Il mondo fitness & wellness

Come possono sfruttare questa opportunità gli odierni fitness club, centri benessere e centri sportivi? Se si escludono le palestre nate negli scantinati nei pionieristici anni Ottanta e i moderni centri specializzati e di piccole dimensioni – noti come studi e ora anche come boutique – mediamente oggi i club hanno tanto spazio e tanti “contatti” (soci o clienti) che rimangono “esposti” a una comunicazione per molto tempo. Spazi, numero di contatti, frequenza, qualità del contatto e profilazione sono i parametri che le aziende, i centri media e le agenzie utilizzano nel business della pubblicità. Allora perché non monetizzarli anche nel nostro settore?
C’è già chi lo fa, ma spesso in modo occasionale. In genere sono le associazioni sportive che organizzano eventi o partecipano a campionati che sfruttano questa opportunità. La loro raccolta pubblicitaria è spesso frutto di conoscenze dirette, fortuna o attività sporadiche e rarefatte nel tempo.
Facciamo ora un passo indietro ponendoci una domanda molto semplice: perché un’azienda dovrebbe darci dei soldi? Le risposte sono diverse e di seguito ne propongo alcune:

• passione per uno sport (centri sportivi);
• visibilità – dunque notorietà – in una specifica zona geografica nei confronti di appassionati o praticanti di una precisa attività;
• immagine;
• posizionamento del brand in modo differente;
• sgravi fiscali;
• reperimento di contatti altamente profilati/targettizzati;
• grande esposizione (temporale e in termini di pressione pubblicitaria) a una comunicazione specifica.

E quali sono gli spazi vendibili? La risposta è facile: tutti, ovvero reception, ingresso, sala cardio-isotonica, spa, sale corsi, piscina, area umida, campi da gioco e palazzetti e persino gli spazi esterni. Ci si può davvero sbizzarrire.

Console personalizzabile

E quali sono i media, ovvero i veicoli/supporti che possono essere brandizzati e venduti e quali gli altri elementi potenzialmente interessanti in un rapporto B2C? L’elenco è lungo e ne propongo uno non esaustivo per fornirvi spunti utili, con la consapevolezza che ogni struttura è adatta per alcuni e non per altri: vetrinette, manifesti interni, striscioni esterni, armadietti degli spogliatoi, espositori, cartoline, totem, gonfaloni, divise, tessere, gadget e merchandising, sito web, newsletter, liste di mail, liste di nominativi con relativi indirizzi, social e post sui social, cd musicali personalizzati, playlist per l’allenamento in formato mp3, schermi interni, schede d’allenamento, vetrofanie, borse, locandine, book, beni di consumo, erogatori/distributori automatici, spazi espositivi (per mostre, concessionarie di auto o moto, abbigliamento, etc.), punti vendita riservati ad aziende esterne, campagne pubblicitarie esterne (affissioni o spot radiofonici), spazi/eventi per test di materiali o alimentari, tovagliette area ristoro, “libretti” eventi, materiali istituzionali… e molto altro ancora.

Qualche numero

Sono certo che qualche palestra abbia ottenuto un ricavo dalla vendita di spazi pubblicitari/promozionali. Ma il prezzo era giusto? E, ancor più importante, le opportunità sono state sfruttate appieno? Rispondo a queste domande fornendo alcuni macro-riferimenti economici, ovvero facendo qualche calcolo con alcuni dei veicoli/supporti poc’anzi menzionati
I valori riportati sono ovviamente indicativi e possono avere una tolleranza anche pari a ± 50% in funzione della location, delle dimensione, del posizionamento della struttura, del numero e della qualità dei soci.

• Totem: 500-1.000 euro a periodo concordato;
• Gonfaloni: da 1.000 euro all’anno;
• Divisa: almeno 1.000 euro o almeno il costo di produzione;
• Tessere: da 1.000 euro più il costo di produzione;
• Merchandising: dipende dalla tipologia;
• Sito Internet: da 100 a 1.000 euro, a seconda del numero di contatti e del prestigio;
• Newsletter: da 50 a 200 euro per invio (è un DB targhettizzato);
• CD musicali personalizzati: 100-200 euro più i costi di produzione;
• Playlist da allenamento in formato mp3: 100-200 euro più i costi di produzione del jingle;
• Schede allenamento: 200-500 euro;
• Vetrofanie: 500-200 euro;
• Borse e materiali interni: 500 euro e/o produzione;
• Vetrinette: 100-300 euro per un anno o l’equivalente in merce;
• Manifesti: da 100 euro al costo totale dell’affissione;
• Striscioni: da 1.000 euro per un anno;
• Espositori: 500-1.000 euro per un anno o l’equivalente in merce;
• Cartoline: da 100 a 500 euro per la la loro produzione, in funzione del numero di prodotto;
• Locandine: 50-200 euro per volta;
• Book: 50 euro a pagina o cifra da stabilire per un certo numero di pagine all’anno;
• Beni di consumo: è variabile e si basa sulla logica dei campioni e del cambio-merce;
• Erogatori/distributori automatici: la qualità e la quantità dello spazio deve essere oggetto di trattativa con il fornitore. Il risultato è uno sconto o un contributo sotto forma di merce. I fornitori sono inoltre abituati a elargire “contributi marketing” al raggiungimento di prestabilite quantità di prodotto venduto;
• Spazi espositivi (per auto, moto, merci, etc.): da valutare in funzione della quantità e della qualità degli spazi. Idealmente da 500 a 5.000 euro alla settimana;
• Punti vendita di aziende esterne: da valutare in funzione della quantità e della qualità degli spazi (idealmente da 500 a 5.000 euro alla settimana).

Esempi concreti

Per rendere ulteriormente concreto il ragionamento, di seguito tre esempi tratti dalla realtà che si distinguono tra loro per l’entità dell’introito generato in un anno e per questa ragione definiti “Basic”, “Gold” e “Platinum”:

• Basic: 1.000 euro (1 totem/anno) + 2.000 euro (2 gonfaloni/anno) + 500 euro (tessere) + 200 euro (sito o newsletter) + 200 euro (manifesti) + 400 euro (volantini) + 1.000 euro (striscioni) = Totale annuale 5.300 euro;
• Gold: 3.000 euro (totem) + 4.000 euro (gonfaloni) + 500 euro divisa + 1.000 euro (tessere) + 500 euro (merchandising) + 500 euro (sito) + 1.000 euro (newsletter) + 500 euro (vetrinette) + 1.000 euro (manifesti) + 4.000 euro (striscioni) + 1.000 euro (espositori) + 500 euro (book) + 1.000 euro (volantini) = Totale annuale 18.500 euro;
• Platinum: sbizzarritevi! Totale annuale superiore a 50.000 euro.

Organizzazione

Ora che abbiamo visto quanto può fruttare questa attività, vediamo che cosa bisogna fare per svolgerla. È innanzitutto necessario eseguire una mappatura completa degli spazi e dei media (veicoli/supporti), quindi fotografarli. Il secondo passo da compiere consiste nel creare un book che contenga tutte le foto sulle quali va inserita un’immagine pubblicitaria demo. Situazioni legate a eventi di durata limitata come open day, eventi sportivi, partite, tornei e spettacoli vanno contrassegnate come “speciali”.
A questo punto non resta che definire il listino e le politiche di sconto e il gioco è… quasi fatto. Sì, perché da questo punto in avanti il valore generato da questa attività dipende dalla professionalità di chi la gestisce e dal tempo che vi dedica. E di tempo, ve lo assicuro, ne occorre tanto. Un paio di ore al giorno sono sufficienti per preparare, in una settimana, tutto l’occorrente per avviare questa attività, ma la vendita vera e propria è un altro affare.
Prima di tutto bisogna realizzare un database di potenziali clienti su un foglio di Excel o direttamente nel proprio software gestionale. La fonte può essere il gestionale stesso, internet, l’elenco telefonico, database di altre aziende, liste acquistate, elenchi di partecipanti a fiere locali e altro ancora. Il database dei potenziali clienti andrà quindi inserito in un sistema di CRM, più o meno rudimentale, in cui riportare tutte le anagrafiche, tutti i contatti avvenuti, il loro risultato e la programmazione dei contatti successivi.
A questo punto le possibili meccaniche di vendita sono due: il porta a porta o il contatto telefonico per fissare un appuntamento (mediamente servono 3 chiamate per ottenerlo considerando che dovrebbero conosce il club o quantomeno averne sentito parlare se si tratta di una realtà di provincia).

A prescindere dalla metodologia adottata, ogni appuntamento ha una durata che varia da 10 minuti a un’ora e spesso non è sufficiente per siglare il contratto. Una volta raggiunto l’accordo, ci si dedica alla realizzazione dei materiali e alla loro posa/distribuzione/utilizzo.
Spaventati? Immagino di sì ed è comprensibile. Prima di fare tutto questo, è bene sottolinearlo, bisogna effettuare un’attenta valutazione delle forze a disposizione. Ho visto tanti centri partire con le migliori intenzioni e progetti validi che si sono però arenati di fronte alla prima emergenza – come le dimissioni dell’insegnante di Zumba o un problema idraulico – che ha fatto passare tutto il resto in secondo piano.
Purtroppo il nostro settore è poco abituato a pianificare e a riflettere, a sviluppare progetti a seconda della loro importanza, rivelandosi invece estremamente reattivo nei confronti delle (continue) emergenze operative. In una fabbrica, al primo guasto interviene un manutentore e gli ingegneri continuano a lavorare sul futuro; spesso in una palestra tutto fa capo al titolare che, occupandosi di tutto, fatica a mantenere una lettura del quadro d’insieme.
Inoltre, la raccolta pubblicitaria è un’attività che genera guadagno, ma anche costi (sommersi se svolta internamente, diretti se delegata), che richiede organizzazione, dedizione e orientamento agli obbiettivi. E non tutti sono in grado di svolgerla. Se si decide di gestirla internamente, possono occuparsene risorse ad-hoc, direttori commerciali (se esistenti), i titolari stessi o consulenti alla vendita (tassativamente al di fuori del loro orario di lavoro). Se invece si decide di esternalizzarla, ci si può rivolgere a un’agenzia di raccolta pubblicitaria. Nel primo caso tutto il lavoro ricade sulle spalle del club, così come i costi e gli utili. Nel secondo, invece, il club svolgerà un lavoro minimo, ma perderà una percentuale degli introiti (tra il 15 e il 30%, a seconda dei casi) che riconoscerà all’agenzia.

Gestione interna o terziarizzazione?

Che cosa fare, dunque? Gestire internamente o esternalizzare? Prima di decidere, è bene analizzare accuratamente la propria struttura, quindi stimare gli spazi realisticamente vendibili e valutare le risorse, in termini di tempo e costi (reali e sommersi) di cui si dispone. Se gli utili potenziali di questa attività sono interessanti, o si dispone di molte ore/uomo, si può decidere di svolgerla.
Un’ultima valutazione da effettuare riguarda l’impostazione organizzativa della vendita, che può sostanzialmente essere di tre tipi:

• Occasionale: è la più praticata in quanto non richiede di dedicare costantemente risorse a tale attività che viene dunque gestita solo quando il tempo di cui si dispone lo permette o nel momento in cui un potenziale sponsor bussa alla porta del club, magari in relazione all’organizzazione di un evento;
• Delegata a terzi: sicuramente fa guadagnare di meno rispetto alla gestione diretta, ma comunque di più di quella occasionale. Significa affidarsi a professionisti che, in nome e per conto del club, “rastrellano” letteralmente la zona, ottenendo il massimo in un tempo limitato, oppure a un’agenzia di raccolta pubblicitaria locale. È la scelta degli imprenditori del nostro settore che si rendono conto delle interessanti risorse economiche reperibili sul territorio, ma anche del fatto che da soli non ce la farebbero mai, per mancanza di tempo o di capacità organizzative e/o commerciali.
• Gestita direttamente: implica grande disponibilità di tempo, oppure grandi potenzialità in termini di ricavi. Il primo requisito è in genere tipico dei piccoli club indipendenti, fortemente radicati sul territorio e con una certa notorietà; in realtà simili questa attività è solitamente svolta dal titolare o da un bravo consulente alle vendite che intende aumentare le proprie entrate.
Il secondo requisito è invece tipico dei grandi centri, dotati di grandi superfici e grandi volumi in termini di numero di clienti. In tali contesti le soluzioni organizzative e contrattualistiche sono le più disparate. Si va dall’assunzione di una risorsa dedicata al riconoscimento di ricompense corrispondenti a una percentuale dell’introito effettivo, con tutte le soluzioni intermedie del caso.

concludendo…

In conclusione, ritengo che il settore fitness e wellness abbia ampi margini di crescita nel mercato della raccolta pubblicitaria, soprattutto alla luce del fatto che sino ad oggi ha raccolto solo in minima parte i frutti di questa attività. Ma ricordo anche che questa attività ha logiche da B2B e solo pochi operatori del settore hanno l’esperienza necessaria per raggiungere i target realisticamente conquistabili.
Consiglio agli imprenditori del settore di eseguire, o far eseguire, una valutazione economica seria per valutare la fattibilità e l’entità dell’operazione, quindi individuare le figure che possono portarla avanti e, se “i conti tornano”, provarci, senza però vincolarsi a contratti capestro o provocando un aumento dei costi da sostenere. L’ideale è fare un test, quindi procedere conseguentemente ai risultati che produce.

Dott. Adriano Guizzetti

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