Seconda uscita del blog sul mal di schiena cronico con l'individuazione dei meccanismi lesionali

MAL DI SCHIENA CRONICO (CLBP) PT.2

SECONDA USCITA

La prima parte sul mal di schiena cronico si è conclusa con la breve analisi della funzionalità del corpo. Riprendiamo il discorso individuando i meccanismi lesionali.

Meccanismi di infortunio per i tessuti biologici

È opportuno conoscere i vari meccanismi di lesione per comprendere quanto la tecnica di esecuzione negli esercizi terapeutici e rieducativi sia fondamentale. Spesso la concezione generale è che ci si possa fare male quasi esclusivamente con un evento traumatico, o sollevando un carico molto pesante. Vedremo ora i tre meccanismi che possono contribuire alla lesione dei tessuti biologici.

Lesione acuta da sovraccarico

Generata da una sollecitazione/carico applicato a un tessuto biologico – parte corporea che ne eccede la tolleranza meccanica. Questo meccanismo di infortunio non è il più comune, può provocare danni in specifici tessuti corporei ed è associato con episodi di mal di schiena acuto piuttosto che cronico.

Lesione prodotta da sollecitazioni sub-massimali ripetute

La tolleranza meccanica dei tessuti corporei può diminuire col tempo o con la ripetizione di alcune attività che generano sollecitazioni ripetute. Immaginiamo di raccogliere una pallina da golf dal terreno piegando la schiena (sì quel movimento che si vede fare molto spesso, gambe dritte e schiena flessa) ora supponiamo di farlo molte volte consecutivamente. All’ennesimo piegamento la struttura cederà a causa della diminuzione della tolleranza a quello specifico movimento. Un movimento di per sé non nocivo, se viene eseguito troppo di frequente può diventare l’evento scatenante del mal di schiena: “Non ho fatto nulla di diverso dal solito, faccio sempre le stesse cose e non mi è successo mai nulla, prima stavo bene…”.

La ripetizione di carichi sub-massimali non è l’unica maniera per minare la tolleranza meccanica dei tessuti biologici, essa diminuisce anche con l’applicazione di un carico costante per un prolungato periodo di tempo.

Lesione prodotta da sollecitazioni sub-massimali applicate per lungo tempo

Immaginiamo di tendere i due estremi di un elastico in maniera tale che ci sia un allungamento e di mantenere questa tensione, anche per lungo tempo. Se la tensione è costante e non provoca rottura (superamento della barriera elastica), l’elastico rimarrà teso ma non si romperà e se rimuovessimo la tensione, tornerebbe alla sua lunghezza originaria. Un tessuto corporeo, sottoposto allo stesso stimolo per lungo tempo, al contrario dell’elastico, continuerà ad allungarsi subendo dei danni strutturali. Il danno strutturale dimostra un abbassamento della tolleranza meccanica causata dell’applicazione costante del carico. I tessuti corporei hanno proprietà visco-elastiche e di conseguenza si comportano diversamente dagli oggetti che presentano proprietà elastiche.

Nella vita di tutti giorni questo concetto si traduce con una aumentata vulnerabilità di alcune parti corporee quando mantenute in posizioni statiche per lungo tempo. Ad esempio stare seduti a lungo ed eseguire immediatamente attività esplosive per la schiena potrebbe essere molto pericoloso!

Il meccanismo di infortunio ogni volta va ricercato quindi nel contributo relativo di posizioni/posture mantenute per lungo tempo e di movimenti ripetuti, che diminuiscono la tolleranza delle parti corporee a determinate sollecitazioni, che potrebbero invece essere tollerate senza alcun problema.

Il modo per scongiurare tali infortuni è dimostrato nel grafico che illustra l’aumento della tolleranza meccanica in corrispondenza di un periodo di recupero del tessuto corporeo rispetto a posture statiche o movimenti ripetuti.

Grafico che illustra l’aumento della tolleranza meccanica in corrispondenza di un periodo di recupero del tessuto corporeo rispetto a posture statiche o movimenti ripetuti

Meccanismi di lesione articolare e Meccanismi di iper-sensibilizzazione neurologica periferica e centrale

Cinematica vertebrale

La persistenza del dolore cronico non sempre può essere spiegata in conseguenza di un evidente danno strutturale o difetto anatomico.

Molteplici sono le strutture della schiena che possono creare dolore: i dischi intervertebrali, le faccette articolari, i muscoli, le articolazioni sacro-iliache, e la lista prosegue. Tutti questi elementi strutturali del rachide lombare hanno una innervazione sensoriale che può generare stimoli nocicettivi che possono giocare un ruolo nella provocazione del dolore. Uno dei motivi per cui è difficile comprendere l’eziologia del mal di schiena è che più elementi di questa lista possono evocare la sintomatologia, quando stimolati da differenti movimenti, posture o sollecitazioni aggiunte. Sappiamo infatti che la diagnosi non può essere basata esclusivamente su dati anatomici in quanto i risultati degli accertamenti radiologici non sono sempre correlabili con la sintomatologia in atto. (Kapellen PJ, Beall DP. Imaging evaluation of low back pain: important imaging features associated with clinical symptoms. Semin Roentgenol 2010; 45: 218–25).

È possibile ipotizzare che, causa determinati e ripetuti movimenti, sia possibile alterare la meccanica vertebrale e il corpo, per compensare, crei degli adattamenti strutturali. Una volta alterata la meccanica vertebrale, gli stessi movimenti potrebbero diventare degli agenti scatenanti il dolore perché la cinematica vertebrale, non più integra, porterebbe le articolazioni molto più spesso al limite del loro movimento fisiologico. Tale scenario potrebbe generare in alcune strutture, articolari e legamentose, una iper-sensibilizzazione agli stimoli meccanici.

Meccanismi di lesione applicati al rachide lombare

Il rachide lombare viene sottoposto a grandi forze compressive e di taglio. Nonostante ciò presenta un margine di sicurezza molto più grande per quanto concerne il carico compressivo rispetto al carico di taglio. Il rachide riesce a tollerare oltre 10 KNewton di compressione rispetto solo a 1000 Newton di forze orizzontali. Questo valore è raggiungibile quando la muscolatura circostante supporta e stabilizza la schiena, altrimenti la struttura ossea senza supporto muscolare è in grado di sopportare solamente 20 Newton di forze compressive prima di collassare (King AI: Injury to the thoraco-lumbar spine and pelvis. In: Accidental Injury, Biomechanics and Presentation. Nahum AM, Melvin JW, eds. New York, NY: Springer-Verlag, 1993).

Le forze compressive sono provocate dal peso della testa, delle braccia e del tronco stesso e ovviamente da qualsiasi carico trasportato o sollevato attraverso la reazione di contrazione della muscolatura stabilizzatrice. Benché sia possibile che infortuni o lesioni vengano prodotte dalle forze compressive è molto più probabile che possano venire provocati dalle forze di taglio orizzontali. Durante le attività della vita quotidiana le forze imposte sulle strutture anatomiche del rachide vengono prodotte dalla muscolatura e dalla tensione dei legamenti.

Le tecniche di movimento sono in grado di modulare queste forze e sono quindi cruciali nella determinazione del giusto regime di esercizi e dei rischi di ri-esacerbazione.

Una regola generale per il posizionamento del rachide lombare durante gli esercizi è quella di conservare la sua posizione neutra, non in flessione né in estensione. In questa posizione di equilibrio elastico le componenti passive delle articolazioni esercitano le minori sollecitazioni possibili e la struttura è più resiliente alle forze compressive e di taglio.

Nel caso fosse compromessa la cinematica a causa di infortuni precedenti il mantenimento della posizione neutra risulta ancora più cruciale, sia nelle attività della vita quotidiana sia nell’esecuzione degli esercizi.

La solidità nella parte lombare, quando il rachide è mantenuto nella sua posizione neutra, è il frutto dalla coordinazione di tutti i muscoli e della fascia toraco-lombare; non esiste un gruppo muscolare con doti stabilizzatrici assolute e superiori ad altri. Per ottenere la stabilità della parte lombare è essenziale padroneggiare la contrazione coordinata (co-contrazione) di tutti gli elementi muscolari intorno ad essa.

Paragoniamo la zona lombare all’albero maestro di una nave. È possibile mantenere verticale l’albero della nave solamente quando la tensione nei tiranti laterali è uguale; parlando in termini fisici la loro risultante deve essere zero.

Un muscolo con una attivazione e forza inappropriata rispetto ai sinergici produrrà instabilità piuttosto che stabilità, oppure l’instabilità sarà palese con minori carichi esterni imposti sulla struttura. Avere dei forti addominali, senza averne lo specifico e sottile controllo coordinato con i gruppi muscolari laterali e posteriori, per governarli non darà gli effetti stabilizzatori sperati.

Per quanto riguarda la schiena, oltre a questo concetto è necessario apprezzare che: la tensione dei tiranti, pur essendo pari a zero imprime comunque una forza compressiva alla struttura. Troppa tensione, provocata dall’attivazione muscolare, impone un grande carico sulle strutture. Queste sollecitazioni possono impedire/limitare il movimento articolare. La stabilità non deve essere confusa con la rigidità. La stabilità deve essere raggiunta attraverso una sufficiente contrazione muscolare, troppa attivazione produrrà forze compressive aggiuntive, troppo poca la possibilità di perdere l’allineamento strutturale (Nachemson A: The load on lumbar discs in different positions of the body. Clin Orthop Relat Res 1966; 45: 107–112).

Questo è il concetto di “Stabilità Sufficiente” che deve essere in funzione e regolata di conseguenza alle attività che si stanno svolgendo in un momento specifico.

Ulteriormente a conferma dei concetti sopra esposti due studi hanno correlato un alto grado di flessibilità nella zona lombare con più alte sollecitazioni strutturali ed eventualmente un maggiore rischio di sviluppo di mal di schiena (Brinckmann P, Biggemann M, Hilweg D: Prediction of the compressive strength of human lumbar vertebrae. Clin Biomech, Bristol, Avon, 1989; 4Suppl 2: S1–S27).

Mal di schiena: meccanismi di lesione applicati al rachide lombare

Meccanismi di produzione di controllo motorio aberrante

Esistono diverse testimonianze che ci indicano che degli episodi di mal di schiena, ma anche uno singolo, sono in grado di alterare il controllo motorio di base e la percezione del movimento. Il dolore acuto, ma anche il ricordo neurologico del dolore è in grado di creare cambiamenti a molteplici livelli del sistema motorio e una conseguente ridistribuzione delle responsabilità tra i gruppi muscolari e persino tra le fibre contrattili di un muscolo isolato.

Questi cambiamenti nell’utilizzo del corpo sono meccanismi automatici e sono creati, sotto il livello della coscienza, come meccanismo di protezione nel caso di un episodio di mal di schiena acuto. Hodges e Tucker nel 2011 però hanno dimostrato che tali effetti possono sussistere anche quando l’episodio di dolore acuto è totalmente superato, almeno a livello sintomatico.

Il mal di schiena quindi può influenzare negativamente varie altre parti del corpo e la sua risoluzione deve necessariamente passare attraverso una analisi della funzionalità di tutti i distretti corporei (Cholewicki J, Greene HS, Polzhofer GR, et al.: Neuromuscular function in athletes following recovery from a recent acute low back injury. J Orthop Sports Phys Ther 2002; 32: 568–576).

Lamoth et al. hanno dimostrato che l’andatura di chi soffre di mal di schiena cronico è caratterizzata da una maggiore rigidità nel piano trasversale e da una coordinazione variabile sul piano frontale, accompagnata da un’attività scarsamente coordinata degli erettori lombari. I cambiamenti osservati nella coordinazione muscolare del tronco e nell’attività dell’Erector Spinae erano una conseguenza diretta del mal di schiena in sé e non derivate dall’intensità del dolore, dalla disabilità oppure dalla paura del movimento. Dal punto di vista clinico quindi la terapia conservativa dovrebbe prendere in considerazione l’allenamento della deambulazione e gli esercizi volti a migliorare la coordinazione inter-segmentale e muscolare (Lamoth CJ, Meijer OG, Daffertshofer A, Wuisman PI, Beek PJ. Effects of chronic low back pain on trunk coordination and back muscle activity during walking: changes in motor control. Eur Spine J. 2005;15(1):23-40).

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.